Prezzo in discesa alla Borsa Merci di Bari: un quintale pagato quanto otto chili di pane. In sette punti le proposte della Confederazione per rilanciare il settore cerealicolo
BARI – “Ancora una volta i produttori di grano duro pugliesi sono stati beffati. Doveva essere, secondo le previsioni degli esperti, l’anno della svolta, che avrebbe risollevato le sorti del settore cerealicolo. Le minori semine a livello internazionale e l’alta qualità di grano duro prodotta dagli agricoltori pugliesi non hanno determinato alcun vantaggio per il reddito delle aziende agricole“. È la denuncia del presidente CIA Levante Felice Ardito, alla luce dell’ulteriore ribasso del prezzo del grano duro rilevato martedì mattina dalla Borsa Merci di Bari. “Ancora una volta le speculazioni messe in atto da alcune componenti della filiera stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza delle aziende cerealicole della Murgia barese. Un quintale di grano duro viene pagato a poco più di 20 euro, tanto quanto costano 8 chili di pane o circa 12 chili di pasta. È una vergogna. Fino all’anno scorso i signori dell’industria pastaia ci dicevano che la nostra produzione non aveva le qualità ricercate dall’industria ed erano obbligati a comprare grano di “qualità” dall’estero – prosegue il presidente CIA Levante – Quest’anno la qualità l’abbiamo raggiunta e continuano a non riconoscere il giusto prezzo ai nostri produttori. A nulla solo valsi i protocolli d’intesa e i contratti di filiera tanto sventolati ai quattro venti”.
Nella sola area della Murgia barese, a causa dei prezzi del grano deprimenti, sono a rischio oltre 6500 aziende che con una superficie circa 65mila ettari coltivati a grano duro producono circa 2,5 milioni di quintali. Il raccolto di 6 ettari seminati a grano è bastato appena per pagare i contributi di una famiglia media agricola. “Le aziende sono state oggetto di una ulteriore speculazione da parte di un sistema industriale e commerciale che ha imposto ai produttori condizioni inaccettabili – continua il presidente Ardito – Se da questa partita a rimetterci sono gli agricoltori, a guadagnarci da questa situazione sono solo le grandi multinazionali che continuano ad importare grano dall’estero per produrre all’insegna di un Made in Italy che non è effettivo, senza preoccuparsi di cosa conterrà la farina e di cosa mangeranno le famiglie. Chiediamo al prossimo governo di porre maggiore attenzione al settore agricolo e cerealicolo in particolare, perché il grano duro ed il suo futuro non sono solo un problema del nostro territorio, ma l’identità e il futuro dell’agricoltura italiana”.
Sulle difficoltà del comparto cerealicolo, rese drammatiche dallo stallo dei prezzi corrisposti ai produttori e dalla immutata propensione della parte industriale a privilegiare l’import a discapito della qualità garantita ai consumatori, interviene anche il presidente regionale CIA-Agricoltori Italiani Puglia Raffaele Carrabba: “Privilegiamo misure concrete e un approccio realistico al problema. Cominciamo con l’istituire la CUN, la Commissione Unica Nazionale per la rilevazione del grano duro, a Foggia. La Puglia è il territorio che produce più qualità e la maggiore quantità del grano duro in Italia. È una promessa del Governo da tanto tempo, anche troppo, ed è il momento di realizzare quell’impegno”.
Il rilancio del comparto, secondo CIA-Agricoltori Italiani Puglia, presuppone l’attivazione di una serie di misure: velocizzare l’attuazione degli interventi previsti nel piano cerealicolo nazionale; incentivare/monitorare accordi e contratti di filiera equi che diano valore alla qualità dei grani italiani; prevedere una campagna di promozione della pasta italiana nel mondo; garantire la massima trasparenza delle borse merci; rendere obbligatoria la comunicazione delle scorte da parte degli operatori commerciali e industriali; autorizzare eventuali nuovi centri di stoccaggio per l’ammasso delle sole produzioni locali, volte a favorire una maggiore aggregazione dell’offerta; verificare che i centri di stoccaggio autorizzati siano destinati principalmente per le produzioni locali.
“Bisogna ricordare e ribadire che al di sotto dei 33 euro al quintale i produttori non riescono a sostenere i costi di produzione: praticamente, sono costretti a produrre in perdita – ha spiegato Carrabba – Raggiunto l’obiettivo dell’etichettatura per distinguere il prodotto 100% italiano, ora è necessario verificare che ciò corrisponda al vero per la tutela dell’origine italiana del grano, per preservarne la salubrità a garanzia della salute dei consumatori. Servono, infatti, maggiori garanzie a produttori e consumatori con l’incremento dei controlli sanitari e doganali, per scongiurare il rischio che in Italia siano importati cereali contaminati”.