I Figli della Frettolosa, laboratorio e spettacolo inclusivo in Puglia

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Proseguono gli appuntamenti del progetto I Figli della Frettolosa a cura della compagnia BerardiCasolari, con testo e regia di Gabriella Casolari e Gianfranco Berardi

PUGLIA – Prosegue il progetto I Figli della Frettolosa a cura della compagnia BerardiCasolari. Un laboratorio inclusivo che vede il coinvolgimento di ragazze e ragazzi portatori di disabilità (in particolare non vedenti, ipovedenti,) e normodotati, per la creazione dello spettacolo I Figli della Frettolosa. L’iniziativa – dopo il primo laboratorio tenutosi a Ruffano (LE), dal 1° all’8 settembre presso la Sala Teatro San Francesco – ha riscosso un rilevante successo con la partecipazione di più di venti persone al laboratorio e una presenza di pubblico che ha fatto registrare il sold out in occasione della restituzione finale dello spettacolo.
Il progetto si inserisce nelle Azioni pilota per il welfare culturale e la valorizzazione dei luoghi di cultura promosse da Regione Puglia, Dipartimento Turismo, Economia della Cultura e Valorizzazione del Territorio, Teatro Pubblico Pugliese – Consorzio per le Arti e la Cultura e Polo Arti, Cultura e Turismo – P.A.C.T.”

Il percorso non è ancora giunto al termine.

I prossimi appuntamenti saranno:

Il 5-6 – 11-12 – 26- 27 – 28 novembre laboratorio e spettacolo I FIGLI DELLA FRETTOLOSA presso Teatro Comunale di Crispiano (spettacolo finale il 29 novembre)
Dal 8 al 15 novembre 2024 laboratorio e spettacolo I FIGLI DELLA FRETTOLOSA presso Teatro Comunale Traetta di Bitonto (spettacolo finale il 15 novembre)
Dal 18 al 24 novembre 2024 laboratorio e spettacolo I FIGLI DELLA FRETTOLOSA presso il Teatro Comunale di Mesagne (spettacolo finale il 24 novembre)

Gianfranco Berardi, attore non vedente, e Gabriella Casolari, regista e attrice, guidano il laboratorio, con il supporto di Ludovico D’Agostino, Alice Faella e Viola Lucio. Le ragazze e i ragazzi partecipanti al laboratorio hanno così la possibilità di costruire il loro percorso laboratoriale, partendo da racconti personali e dalle forti esperienze di vita vissuta, facendo confluire il tutto nella restituzione finale dello spettacolo I Figli della Frettolosa. Un percorso promosso dall’assessora alle Pari Opportunità Angela Rita Bruno e realizzato da ODV Kairòs in collaborazione con Berardi Casolari.

Di piazza in piazza l’indagine si svilupperà e modellerà sugli utenti e gli attori coinvolti, aggiungendo di volta in volta particolarità all’intero percorso. I nuovi elementi amplieranno lo spettro d’azione della ricerca e permetteranno di unire racconti autobiografici a narrazioni del contemporaneo, riflessioni personali a frammenti di grandi classici. In quei giorni si lavorerà a trasferire la partitura fisica (azioni ed immagini) del coro ai nuovi attori della realtà coinvolta e contemporaneamente si indagherà per cercare insieme agli stessi quei racconti in grado di rendere originale ogni volta il percorso, nel tentativo di costruire un’opera tragicomica in cui teatro e vita, finzione e realtà si fondano e confondano, si incontrino e scontrino per portare alla luce la nostra umanità. Il laboratorio è rivolto a persone con diverse disabilità (in particolare non vedenti o ipovedenti), ad attori e allievi attori.

Il risultato finale è lo spettacolo I FIGLI DELLA FRETTOLOSA, testo e regia di Gabriella Casolari e Gianfranco Berardi che sono anche protagonisti con Ludovico D’Agostino, Viola Lucio, Alice Faella, Silvia Zaru e con il coro di attori non vedenti e ipovedenti nato di volta in volta dal laboratorio su piazza. Lo spettacolo è una produzione Compagnia Berardi Casolari, Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, con il sostegno di Teatro dell’Elfo, Sardegna Teatro, Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti e Istituto dei Ciechi di Milano.

I figli della frettolosa è uno spettacolo che affronta il tema della cecità e del significato più ampio che ha oggi la parola “vedere”. In un mondo ipereccitato dal bombardamento di immagini e suoni, che sempre più neutralizzano i nostri quali forti, vista e udito, l’attenzione dell’individuo è sempre più distante dalla vera conoscenza dell’essere, dell’esistenza. Il punto di vista qui è allora quello di un cieco, di chi guarda ma non vede, percependo la realtà circostante in modo differente. La cecità è messa in scena allo stesso tempo come esperienza di vita reale, fisica, e come concezione metaforica, sinonimo di una miopia sociale ed esistenziale che ci riguarda in prima persona.

Anche questa volta la riflessione sul contemporaneo parte dalle esperienze personali di Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari, dall’osservazione e dall’ascolto della realtà che li circonda ma, a differenza dei precedenti lavori, i ciechi in scena questa volta saranno molti. Bastoni bianchi e occhiali scuri, andatura traballante e movimenti timorosi, ma anche ostinazione, entusiasmo, desiderio di rivalsa: un coro di ciechi come emblema di umanità, allegoria di una società smarrita e insicura, mai arrendevole. Uno spettacolo che ha più il sapore di un evento speciale, che integra il lavoro del teatro alla vita della comunità, che mette insieme attori professionisti e cittadini comuni, vedenti o ciechi che siano, che miscela una struttura drammaturgica definita con i vissuti particolari dei diversi partecipanti.

Note di Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari

Grazie a questo progetto pilota siamo riusciti a sperimentare ampliare e realizzare un’idea che da tempo avevamo in seno cioè quella di trasformare un progetto, di avviare uno studio che avesse a che fare con la disabilità tout curt e che rendesse il più eterogeneo possibile un percorso che di solito per noi – come compagnia – per questioni personali oltre che poetiche, è specifico sulla cecità.

Rispondendo infatti a una necessità sempre maggiore degli ambiti territoriali, soprattutto nei piccoli centri, ci siamo trovati di fronte a una realtà – come nella prima tappa di Ruffano – che chiedeva di rispondere ad una domanda eterogenea per cui quello che era un progetto chiamato i figli della frettolosa, preesistente e che avrebbe prodotto uno spettacolo di comunità utilizzando la cecità fisica dei partecipanti per raccontare la cecità di un popolo, è diventato un percorso dove ogni persona nel proprio stato fisico, psichico, mentale, al di là della propria condizione di disabilità, della vita in comunità o della normalità, ha potuto raccontare il proprio vissuto.

L’eterogeneità del gruppo, i 24 ragazzi che sono venuti in scena con noi a Ruffano, avevano disabilità differenti e in alcuni casi, nemmeno lo erano. Questo percorso ci ha permesso di lavorare sul bios, su quell’istinto vitale, quell’essenza che ci rende tutti uguali, quell’impulso che c’è alla base delle masche e di ogni persona, dove veramente siamo tutti generati nella stessa maniera, che tu sia di colore, che tu sia omosessuale, che tu sia cieco, tetraspastico, autistico, minorenne, maggiorenne”.