La scrittrice romana è l’ospite del nuovo appuntamento del format di Volta la carta. L’evento avrà luogo al MuDi, in città vecchia, alle 18.30. Per partecipare è necessaria la prenotazione
TARANTO – È Chiara Gamberale l’ospite del prossimo Aperitivo d’Autore che si terrà sabato 23 marzo (ore 18.30) al MuDi di Taranto. Nella suggestiva cornice dello storico palazzo in città vecchia la scrittrice romana parlerà del suo nuovo romanzo, pubblicato da Feltrinelli, “L’isola dell’abbandono”. Una storia profonda su quei pochissimi ma decisivi momenti in cui la vita prende il sopravvento, ci strappa il timone dalle mani e ci chiede un faccia a faccia con noi stessi: perché un figlio nasce, perché qualcuno muore, perché un amore comincia e un amore finisce.
I partecipanti all’evento organizzato da Volta la carta gusteranno, come sempre, un ricercato aperitivo, stavolta realizzato dal Symposium Cafè e abbinato ai vini di Cantine Lizzano. Dialogherà con l’autrice l’ideatore di Aperitivo d’Autore, il giornalista Vincenzo Parabita. È partner dell’iniziativa la libreria AmicoLibro.
Per partecipare all’evento è obbligatorio prenotare chiamando al numero 380.4385348 oppure scrivendo all’indirizzo email aperitivodautore@gmail.com. I posti sono limitati.
L’AUTRICE
Chiara Gamberale è nata nel 1977 a Roma, dove vive. Partita come giovanissima speaker radiofonica, nel 1996 ha vinto il Premio di giovane critica Grinzane Cavour, promosso da La Repubblica. Ha esordito nel 1999 con “Una vita sottile” (Marsilio), seguito da “Color Lucciola” (Marsilio 2001), “Arrivano i pagliacci” (Bompiani 2002), “La zona cieca” (Bompiani 2008, premio Campiello Giuria dei letterati), “Le luci nelle case degli altri” (Mondadori 2010), “L’amore, quando c’era” (Mondadori 2012), “Quattro etti d’amore, grazie” (Mondadori 2013), “Per dieci minuti” (Feltrinelli 2013). Del 2014 è “Avrò cura di te”, scritto con Massimo Gramellini ed edito da Longanesi e del 2016 è “Adesso” (Feltrinelli). Sempre con Longanesi pubblica ”Qualcosa” (2017). È inoltre autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici come “Quarto piano scala a destra” su Rai Tre e “Io, Chiara e L’Oscuro” su Radio Due. Collabora con La Stampa e Vanity Fair e ha un blog sul sito di Io Donna e del Corriere della Sera. I suoi romanzi sono tradotti in sedici Paesi e sono stati a lungo in vetta alle classifiche in Spagna e America latina.
IL LIBRO
Pare che l’espressione “piantare in asso” si debba a Teseo che, uscito dal labirinto grazie all’aiuto di Arianna, anziché riportarla con sé da Creta ad Atene, la lascia sull’isola di Naxos. In Naxos: in asso, appunto. Proprio sull’isola di Naxos, l’inquieta e misteriosa protagonista di questo romanzo sente l’urgenza di tornare. È lì che, dieci anni prima, in quella che doveva essere una vacanza, è stata brutalmente abbandonata da Stefano, il suo primo, disperato amore, e sempre lì ha conosciuto Di, un uomo capace di metterla a contatto con parti di sé che non conosceva e con la sfida più estrema per una persona come lei, quella di rinunciare alla fuga. E restare. Ma come fa una straordinaria possibilità a sembrare un pericolo? Come fa un’assenza a rivelarsi più potente di una presenza? Che cosa è davvero finito, che cosa è cominciato su quell’isola? Solo adesso lei riesce a chiederselo, perché è appena diventata madre, tutto dentro di sé si è allo stesso tempo saldato e infragilito, e deve fare i conti con il padre di suo figlio e con la loro difficoltà a considerarsi una famiglia. Anche se non lo vorrebbe, così, è finalmente pronta per incontrare di nuovo tutto quello che si era abituata a dimenticare, a cominciare dal suo nome, dalla sua identità più profonda.
Dialogando con il mito sull’abbandono più famoso della storia dell’umanità e con i fumetti per bambini con cui la protagonista interpreta la realtà, Chiara Gamberale ci mette a tu per tu con le nostre fatali trasformazioni, con il miracolo e la violenza della vita, quando irrompe e ci travolge, perché qualcuno nasce, qualcuno muore, perché un amore comincia o finisce.
LA LOCATION
L’edificio che attualmente ospita il MuDi venne inaugurato come Seminario Arcivescovile nel 1568. Tra il XVI e XVIII secolo il complesso fu oggetto di lavori di restauro e ampliamento. All’inizio dell’Ottocento subì l’occupazione delle truppe francesi e fu riaperto dopo la Restaurazione. A causa della fatiscenza della struttura, dal 1965 è rimasto in stato di abbandono fino alla ristrutturazione avvenuta negli anni ’80 e ’90. Nel 2011 l’edificio è stato riaperto per ospitare la raccolta permanente del MuDi. Inaugurato il 6 maggio 2011, il Museo Diocesano di arte sacra di Taranto (MuDi) nasce dall’intuizione di S.E. Mons. Benigno Papa, il quale, recependo l’importanza di promuovere la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio storico e artistico della Diocesi di Taranto, diede avvio a un accurato progetto museografico condotto dall’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici. Il MuDi risulta essere una proposta di interesse storico, artistico, religioso e architettonico, in quanto consente di completare la visione globale della storia della città, ospitando testimonianze di grande valore storico ed artistico a decorrere dal VII sec. d.C. fino ai giorni nostri. Il percorso espositivo permanente, articolato in sette sezioni tematiche, è sviluppato su tre livelli e mette in mostra oltre 350 opere esplicative della storia dell’Arcidiocesi di Taranto, tra cui una discreta quantità di manufatti scultorei chiaramente riferibili ad ambiti culturali di grande interesse, una ricca documentazione pittorica che testimonia le grandi scuole meridionali, pregiati paramenti sacri, crocifissi in avorio di scuola fiamminga, oltre a una svariata quantità di suppellettile liturgica. Di notevole valore sono, inoltre, gli argenti e gli ori provenienti prevalentemente dal cosiddetto Tesoro di San Cataldo, tra cui uno sportello di tabernacolo dal valore inestimabile in oro e topazio scolpito e l’antica crocetta aurea rinvenuta, secondo le più antiche fonti agiografiche, sul petto del santo nel 1071 al momento del ritrovamento del corpo all’interno del sarcofago marmoreo.
I VINI
Fin dal 1959, anno della sua fondazione, la Società Cooperativa Cantine Lizzano rappresenta il punto d’incontro tra l’antica cultura vignaiola della nostra terra, fatta di rispetto dei ritmi della vigna, di un patrimonio di pratiche contadine tramandate dai nostri avi e le moderne tecniche di vinificazione. I frutti di questa unione sono i vini di Cantine Lizzano, dalla grande eleganza e con il carattere della tipicità. La cooperativa è composta da oltre 400 soci vignaioli e da oltre 500 ettari di vigneti, perlopiù vitigni autoctoni (Primitivo, Negroamaro, Malvasia, Moscato), ma anche diversi vitigni internazionali, come Chardonnay, Pinot e Cabernet. Di fronte a un bicchiere di questi vini si concretizza l’immagine dell’incontro tra il consumatore e il produttore, cioè la cosiddetta “filiera corta” , che in questa azienda è realtà da 60 anni. L’intuizione allora avuta dal fondatore Luigi Ruggieri è ancora oggi perseguita e voluta dall’attuale presidente della cooperativa Rita Macripò e dai soci.
Vincenzo Parabita
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