Lo spettacolo sull’opera dantesca di Gazzolo è una dedica al Paese Italia con una ripresa del progetto tenuto a battesimo in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia con la direzione scientifica dell’Accademia della Crusca. Gazzolo dà voce al sommo poeta e alla «pantera dall’alito profumato», la lingua italiana, che all’inizio del Trecento iniziava ad aggirarsi per le nostre regioni. Dante inizia la caccia, su e giù per la penisola, dialetto per dialetto, alla ricerca del più nobile ed efficace in grado di unificare il parlare di tutti gli italiani. Quale merita il titolo? Nessuno, dice Dante. E con divertita malizia fa ascoltare gli «ignobili barbarismi» del Lombardo, Siculo, Romagnolo, Apulo e di molti altri.
Dante esplora inutilmente quattordici regioni. E ne ha anche per il dialetto toscano, che definisce «un turpiloquio da ubriachi». Gli italiani sono destinati a intendersi poco e male. E, divisi dalla lingua, a restare un insieme di genti sospettose l’una dell’altra. Tuttavia, Dante ha una sua trappola per acciuffare la sfuggente belva linguistica. E la trappola si chiama poesia. Perché, dice Alighieri, senza il paziente lavoro dei poeti sulla parola, una lingua non nasce. E senza una lingua comune un popolo non esiste. Dunque, non può nascere una nazione.
«Io ho il mondo come patria, come i pesci hanno il mare», scriveva Dante. Una frase che non può non colpire in questo momento storico. Una frase che risuona attualissima settecento anni dopo. Il «De Vulgari Eloquentia» fu, infatti, composto tra la fine del 1302 e i primi mesi del 1305. E seppure lasciato interrotto al secondo libro, questo trattato sull’eloquenza volgare è tra le voci più importanti del Dante della maturità, contributo fondamentale per capire l’evoluzione del suo pensiero in tema di lingua e di poesia volgare, forse già in fase di ideazione, se non di preparazione, della «Divina Commedia», maturata più tardi.
La ricerca di Dante è lunga e complessa, proprio perché il poeta cerca una lingua – come sarà, per l’appunto, quella della «Commedia» – che sappia piegarsi a tutti gli usi e le necessità che la creazione letteraria impone, in grado pure di rivaleggiare con l’ingombrante concorrenza del latino. L’Alighieri allora, nel sedicesimo capitolo del primo libro, si serve dell’immagine della pantera odorosa (immagine tipica dei «bestiari» medievali che Dante conosceva benissimo) per prefigurare le caratteristiche di un volgare che avrebbe dovuto sommare le qualità di ogni dialetto nazionale.
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