L’Istituto Tumori di Bari e l’Istituto Tumori di Milano insieme in uno studio unico a livello mondiale
Secondo uno studio, unico al mondo, condotto da un team di ricercatori milanesi e baresi, pur in presenza di predisposizioni genetiche, se i soggetti più a rischio fossero disposti a seguire un comportamento alimentare consapevole, oltre ad un corretto follow up, tale rischio sarebbe ridotto al minimo.
Origina da queste premesse lo studio condotto dall’Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” su un piccolo esercito di donne che negli ultimi due mesi ha modificato le proprie abitudini a tavola. Non tanto privazioni, ma alternative gastronomiche eccelse e più salutari. L’ipotesi? Un notevole ridimensionamento del rischio oncologico eredo-familiare.
Dopo aver frequentato per settimane le cucine dell’Istituto Tecnico Alberghiero “Perotti” di Bari, guidato dalla dirigente professoresse Rosangela Colucci, indottrinate sulle buone maniere ai fornelli da uno chef professionista, il professor Antonio De Rosa, le protagoniste della sperimentazione hanno riproposto a casa le ricette apprese. E i successi sono stati più di uno: intanto, hanno preso atto degli errori nutrizionali più comuni; inoltre, le partecipanti hanno scoperto la bontà della pasticceria al naturale e il gusto altrettanto gradevole degli alimenti privi di burro e latte. Ma ancor più rilevanti appariranno gli esiti clinici che nei prossimi giorni saranno resi noti dal team di professionisti dell’IRCCS di Bari a capo dello studio.
Le conclusioni dello studio dell’Istituto Nazionale di Milano, insieme alle premesse e alle prospettive del progetto barese, saranno presentate durante la conferenza stampa in programma giovedì 29 giugno a partire dalle 11 nella sala convegni dell’Istituto guidato dal Direttore Generale Antonio Delvino.
«Abbiamo invitato le donne portatrici della caratteristica genetica e visitate presso il Centro Studi tumori eredo-familiari del nostro istituto a entrare nel programma di educazione alimentare» spiega il direttore del Centro, Angelo Paradiso. A dare voce alla sperimentazione anche la dottoressa Stefania Tommasi. «Prima di cominciare, abbiamo valutato i parametri biologici e genetici delle donne e abbiamo effettuato misurazioni antropometriche, tra cui la massa muscolare. Al termine del periodo di educazione alle cucine, le “nostre signore” sono state sottoposte nuovamente a controlli per verificare gli effetti del nuovo stile di vita».
E i risultati sono un viaggio all’insegna dell’emozione e della soddisfazione. «Verifichiamo cosa cambia, tra cui i parametri metabolici e soprattutto l’effetto su IGF-1, una proteina nel sangue che sembra svolgere un ruolo importante nel portare dal “rischio alla malattia”» aggiungono la dottoressa Ines Abbate dell’Istituto barese e la coordinatrice nazionale del progetto Patrizia Pasanisi della scuola del professor Franco Berrino nutrizionista ed epidemiologo di livello mondiale.
La “contaminazione” delle buone abitudini è già evidente. Lo studio, finanziato da AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) ha incontrato l’entusiastica approvazione delle donne, convinte di poter intraprendere la strada educativo-alimentare non solo per se stesse, ma anche per i loro cari, pronti anch’essi a condividere un atteggiamento più attivo contro una preventivabile malattia.
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