Reso famoso da un film di Gabriel Axel (premio Oscar nel 1988 come «miglior film straniero»), «Il pranzo di Babette» è stato trasposto per il teatro alla ricerca della purezza cristallina delle potenti e livide emozioni create dall’immenso talento della scrittrice danese. Il miracolo e l’invidia, la paura dei sentimenti, il batticuore, gli anni che passano, le occasioni perdute e i rimpianti sono i temi del racconto, che offre sopra ogni cosa una riflessione sulla generosità dell’arte che cambia la vita.
Al centro, il personaggio di Babette Hersan, una grande cuoca francese di ideali comunardi che, crollati gli ideali rivoluzionari, vive esule in un mondo grigio e frugale. Ma il suo potere visionario trionfa, paradossalmente e orgogliosamente, sulle miserie della quotidianità. Infatti, dopo essere arrivata a Berlevaag, un paesino in miniatura su un fiordo norvegese, Babette si integra nella vita tranquilla e frugale di Martina e Filippa, due anziane sorelle che dedicano la loro vita all’aiuto degli altri e la accolgono in casa come governante. Figlie di un pastore protestante, decano e guida spirituale del posto, Marina e Filippa hanno ereditato la direzione della locale comunità religiosa dopo la morte del padre, respingendo le proposte di matrimonio e continuando a vivere una vita semplice e frugale, per aiutare i compaesani in difficoltà. Ma sarà Babette, che aiuterà le due anziane signorine anche nell’attività di beneficenza, a insegnare loro il valore di una vera condivisione, donando la propria arte e tutti i suoi averi per imbastire un memorabile e raffinatissimo pranzo francese in memoria del loro padre morto.
Grazie allo straordinario pranzo nella piccola comunità si realizzerà una condivisione profonda, gioiosa e autentica, perché, afferma Babette, «solo quando facevo del mio meglio riuscivo a rendere la gente perfettamente felice». Ed è nel corso di quel convivio che emergono passioni e sentimenti fino a quel momento sopiti. Una storia raccontata in una casa di fantasmi, dove tutto è finito molto tempo prima. Eppure, il ricordo è vivissimo, come una fiamma di candela che scalda anche le notti più gelide: la storia di un «cupo mal di denti» che l’arte di Babette, una donna venuta da lontano, scioglie miracolosamente dentro il fiordo norvegese dov’è abbarbicata una comunità religiosa ossessionata dal senso del peccato e dalla penitenza, in un luogo nel quale s’intrecciano le fughe precipitose di tre donne, una dall’amore, la seconda dalla lirica, la terza dalla Comune di Parigi. Tutte nella stessa casa, secondo i capricci del destino.
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