Lo studio ha esplorato la possibilità che l’evoluzione dell’epidemia Covid-19 veda coinvolti, tra i molteplici meccanismi di trasmissione, non solo l’interazione tra le persone, ma anche alcuni fattori ambientali: per questo, è stata valutata la diffusione spaziale dell’epidemia in Italia durante il periodo della sua prima ondata (febbraio-maggio 2020), caratterizzata da un maggior impatto nelle regioni settentrionali, ed è stata evidenziata una correlazione statisticamente molto significativa fra il numero di decessi e di pazienti affetti da Covid-19 in ciascuna regione italiana e l’intensità della radiazione ultravioletta (Uv) solare, valutata alla superficie terrestre, in tutte le regioni, mediante rilevazioni sia satellitari che al suolo.
Sono, inoltre, emerse correlazioni, sebbene meno significative rispetto a quella con la radiazione Uv, anche con altre variabili, ambientali (la temperatura dell’aria), sociali (il numero di residenti in rsa) e cliniche (la mortalità media per malattie cardiovascolari e diabete). I risultati di questo studio statistico sono coerenti con i possibili effetti benefici, descritti nella recente letteratura scientifica, della radiazione Uv solare sulla diffusione del virus Sars-CoV-2 e sulle sue manifestazioni cliniche: risulta infatti, che la radiazione Uv è in grado sia di neutralizzare direttamente il virus, sia di favorire la sintesi di vitamina D che, per le sue proprietà immunomodulatorie, potrebbe svolgere un ruolo antagonista dell’infezione e delle sue complicanze cliniche.
Di conseguenza, gli autori suggeriscono l’opportunità di approfondire lo studio di queste tematiche con ulteriori ricerche di tipo clinico, e sottolineano l’importanza di disporre di una rete di misure coordinate della radiazione ultravioletta sul territorio italiano. Auspicano, inoltre, che vengano organizzate campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sugli effetti sia positivi che negativi dell’esposizione alla radiazione solare e sul consumo alimentare di cibi contenenti la vitamina D, oppure la sua supplementazione farmacologica, sempre sotto controllo medico. Compensare l’ipovitaminosi D, molto diffusa nel nostro Paese, potrebbe infatti contribuire al contenimento della pandemia, soprattutto nei soggetti anziani e fragili, come peraltro già sostenuto da Giancarlo Isaia e da Enzo Medico dell’Università e dell’Accademia di Medicina di Torino.
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