“La Puglia non tratta”, il covid rende più invisibili le vittime di sfruttamento sessuale

27

aree a rischio erosione costiera in puglia

Medtraining impegnata nell’attività di prevenzione e contrasto in Capitanata, anche attraverso il lavoro dell’unità mobile di strada

BARI – Hanno dovuto fare i conti con la pandemia, con la paura del contagio, con la difficoltà di guadagnare, con l’immobilità, con l’incertezza rispetto al proprio futuro. L’emergenza sanitaria legata al Covid-19 ha sconvolto le vite di tutti e, in modo particolare, delle vittime di tratta e di sfruttamento lavorativo. Donne, uomini e bambini che ogni giorno vengono sfruttati nell’ambito della prostituzione, dello sfruttamento lavorativo o domestico, delle economie illegali, dell’accattonaggio forzato o del traffico di organi. La circolazione del virus ha toccato anche le loro vite già fragili, invisibili, provocando ulteriori disagi sociali, economici e alimentari. Lo sanno bene gli operatori del progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, il cui intervento nell’area territoriale della Capitanata – che comprende Monti Dauni, Tavoliere delle Puglie e promontorio del Gargano – è svolto dalla cooperativa sociale Medtraining di Foggia.

IL COVID-19
Da marzo 2020, nei vari periodi di confinamento in casa o di lockdown, sulle strade della Capitanata il numero delle donne che si prostituivano sulle strade è caduto verticalmente rispetto ai numeri dei mesi precedenti. Dall’1 giugno al 31 dicembre 2020 gli operatori del progetto, soprattutto attraverso il lavoro dell’unità mobile di strada, hanno effettuato 113 contatti, percorrendo in modo particolare i tratti della SS 16 dell’Alto Tavoliere e del Basso Tavoliere, della SS 89 che porta a Manfredonia, della SS 673 Circonvallazione di Foggia. Le beneficiarie incontrate durante il lavoro dell’unità di strada sono soprattutto donne, provenienti per la maggior parte da Paesi quali Bulgaria, Romania, Nigeria, che rappresentano il 91,2% delle beneficiarie contattate. Ma se si prendono in esame i dati relativi ai mesi precedenti, si nota come i numeri siano calati in modo significativo: dall’1 marzo 2019 al 31 maggio 2020, infatti, erano stati effettuati lungo le strade ben 741 contatti. Questo, però, non vuole dire che il fenomeno della tratta e dello sfruttamento lavorativo sia scomparso nel nostro territorio. Anzi. In questo periodo di tempo sospeso è diventato ancora più subdolo, più invisibile. Molte delle donne incontrate dagli operatori sulla strada, infatti, hanno raccontato di aver esercitato l’attività prostitutiva all’interno di appartamenti, venendo così meno anche la possibilità di accedere a visite mediche specialistiche e di prevenzione, accompagnamenti sanitari presso le varie strutture, incontri individuali.

LA MANCANZA DI REDDITO
Le restrizioni imposte dal Governo italiano a marzo 2020 per frenare la diffusione del Covid-19 hanno dunque abbattuto verticalmente il reddito di chi lavora nel commercio del sesso. La natura di questo settore – e il canale del traffico di esseri umani che lo alimenta – implica che pochissime donne hanno la documentazione necessaria per richiedere i benefici e il sostegno finanziario di cui hanno bisogno. Per questo, gli operatori del progetto “La Puglia non tratta” hanno raccolto numerose richieste di aiuto economico e/o alimentare da parte delle donne che hanno continuato a prostituirsi, rispondendo sempre a quelle di carattere alimentare. «In tempo di lockdown – spiegano gli operatori – le donne di origine africana e in particolare, le nigeriane, sono letteralmente sparite dalla strada, erano le più timorose e impaurite, da subito hanno evitato di esercitare, anche perché i loro spostamenti avvengono di frequente con i mezzi pubblici. Anche le donne di origine sudamericana, più adulte in età nelle nostre rilevazioni, hanno da subito dimostrato timore e preoccupazione per gli effetti del covid; anche loro pare si muovano con i mezzi pubblici e durante il lockdown sono rimaste a casa in osservanza delle indicazioni». Per quanto riguarda le donne che hanno continuato a prostituirsi per strada, dai brevi colloqui effettuati con gli operatori è emersa la scarsa consapevolezza sui rischi di trasmissione del virus da parte dei clienti incontrati, la facilità con cui gli italiani erano soggetti al virus e, alla fine, in ogni caso, l’assenza di alternative per intercettare denaro, con una logica comune: «O si fa questo o non si mangia e non si porta a casa denaro».

IL PROGETTO REGIONALE
Il progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, giunto ormai alla terza annualità ed in regime di seconda proroga, è nato a livello regionale con l’obiettivo di assicurare alle persone vittime di tratta adeguate condizioni di alloggio, vitto, assistenza, protezione ed integrazione socio – lavorativa. «Una sfida complessa, ambiziosa, che sta contribuendo a potenziare la pratica della presa in carico globale ed individualizzata di uomini e donne vittime di traffici criminali internazionali, diffondendo altresì nella comunità locale la cultura della legalità e della tutela dei diritti inviolabili della persona» dice Nicola Di Bari, presidente della cooperativa sociale Medtraining. Il progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, finanziato dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è promosso dalla Regione Puglia – Sezione Sicurezza del Cittadino, Politiche per le Migrazioni ed Antimafia Sociale – in collaborazione con sette enti anti tratta del territorio regionale: le cooperative sociali Medtraining (Foggia), Comunità Oasi2 San Francesco onlus (Trani), Atuttotenda (Maglie-Lecce), CAPS (Bari); le associazioni Giraffa! (Bari), Micaela (Adelfia-Bari), Comunità Papa Giovanni XXIII.