Il piccolo orfano protagonista è un personaggio ribelle dal cuore grande, simbolo positivo di resilienza. Il romanzo “Oliver Twist; or, the Parish Boy’s Progress” (1837-1839) è una netta denuncia, da parte di Dickens, della reale condizione delle categorie più fragili della società, relegate ai margini di una grande città. Partendo da Dickens, ho avviato una riflessione sul vuoto d’amore, sul valore della vita e sull’inesorabilità della morte. Un’attenzione particolare ho voluto dedicarla al tema dell’infanzia negata, alla necessità di immaginare un mondo finalmente privo di ogni tipo di esclusione sociale, in cui ogni bambino possa crescere libero ed esprimere sé stesso. Nello spettacolo, Oliver appare molti anni dopo le vicende narrate da Dickens nel suo romanzo. In questa inedita parte della sua esistenza, Oliver non è più un ragazzino. Anche se ormai è un uomo adulto sopravvissuto a cose tremende, Oliver torna accanto all’altare dell’antica chiesa del villaggio, ogni anno nello stesso giorno, e lì si ferma per un’ora. Guardando il paesaggio immutato intorno a sé, Oliver si addentra nel dialogo mancato con Agnes, la sua mamma, morta di parto. Un dialogo tra due poli estremi: tra un vivo e un morto, poiché la fine della madre, quel giorno lontano nella memoria, coincise con l’inizio del figlio. E in questo rincorrersi tra vita e morte, Oliver ritorna a raccontarsi ogni volta, con un anno in più, ma col desiderio sempre più forte di quell’abbraccio mancato. Uno spettacolo per la difesa dei diritti dell’infanzia, per la lotta contro lo sfruttamento minorile e contro ogni forma di povertà.
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