«Da Nardò a Taranto non c’è nulla, c’è l’Arneo un’espressione vagamente favolosa come nelle antiche carte geografiche quei vuoti improvvisi che s’aprono nel cuore di quelle terre raggiunte dalla civiltà», raccontava lo scrittore Vittorio Bodini. L’Arneo era una terra di sogni e speranze. Lo era per chi, con le mani indurite da un lavoro nei campi che non lo riscattava dalla miseria, vedeva, in quei terreni che si estendevano a perdita d’occhio, la promessa di una rinascita. Era il sogno di quegli anni, dopo la Seconda Guerra Mondiale, dopo gli orrori, perché era bello credere che di terra si potesse campare. Ed era un sogno condiviso in tutto il paese, da tutti quei contadini che vedevano immensi feudi abbandonati. Ed era il sogno di quei contadini che sapevano come prendersene cura, con quanto sudore renderla feconda, come gioire dei suoi frutti. Ché la bellezza è un premio per chi la sa coltivare, non un diritto per chi la può comprare.
Le occupazioni nell’Arneo a cavallo tra anni ’40 e ‘50 sono la conclusione di una straordinaria stagione di lotte per il lavoro e per la dignità dell’uomo e hanno contribuito fortemente alla costruzione dell’identità di quel territorio. Raccontare di quei fatti, di quelle speranze, di quelle conquiste, vuol dire raccontare un sud del mondo che chiede, ora e sempre, che venga ascoltato il suo pensare, il suo conoscere, perché sono tante le strade che si possono percorrere e tanti i nomi di Dio. «Quella coscienza di sé, che appariva così radicata sino a pochi anni fa, è stata purtroppo snaturata via via da una cultura sempre più individualistica che ha finito per sbiadirne anche il ricordo. Crediamo che il teatro possa innestarsi efficacemente in questo processo e raccogliere la sfida di restituire una riflessione collettiva che torni a delineare il vivere civile», sottolineano Fabrizio Pugliese e Fabrizio Saccomanno. Questo progetto artistico ha quindi scelto di provare a mettere nuovamente in moto quel meccanismo di circolarità della memoria che alimenta un sano rapporto tra le generazioni. Ha scelto di farlo con un lavoro di ricerca prima e di restituzione poi, attivando una scrittura drammaturgica intessuta da un originale incontro tra musica, narrazione ed immagini, alla ricerca di una comunicazione che riuscisse a trasformare la memoria in uno sguardo rinnovato sul futuro.
L’Associazione Culturale Ura Teatro nasce come naturale continuazione del sodalizio artistico tra Fabrizio Saccomanno e Fabrizio Pugliese. Dopo anni di lavoro all’interno di un Teatro Stabile per l’Innovazione, e dopo la loro uscita da quella struttura, hanno attivato diverse collaborazioni con artisti e strutture pugliesi, ma costante era la voglia di approfondire quel percorso artistico cominciato oramai quindici anni fa. Nascono nel frattempo due spettacoli, “Gramsci, Antonio detto Nino” di Saccomanno, e “Per Obbedienza, dell’incanto di Frate Giuseppe” di Pugliese, due lavori in cerca di una ‘casa’, lavori nati in quel filone di narrazione che fa della memoria il proprio centro poetico. Così due personaggi atipici, ognuno a suo modo, Gramsci e San Giuseppe da Copertino, danno il via al progetto URA teatro: quando la ricerca sulla memoria si lega al racconto stesso della vita quotidiana, ai problemi del presente e alle speranze del futuro, diventa un atto creativo della contemporaneità e non uno sterile culto di un passato da idealizzare. Nella nuova “casa” trovano spazio sia i vecchi lavori di Saccomanno ‘Via’ e ‘Iancu’ che due nuovi progetti: “Shoah, frammenti di una ballata“ di Saccomanno accompagnato dal violoncellista Redi Hasa, e uno spettacolo di cantastorie di strada di Pugliese, ‘Transumanze’. Nel frattempo è continuo il lavoro sul territorio con progetti di teatro comunità in alcuni paesi del Salento. Ura è parola presa in prestito dalla vicina Albania. Sta per ponte.
Dai Balcani alle terre della Tarantola a Robert Plant e Ludovico Einaudi: in un violoncello rubato Redi Hasa ha messo tutta la sua vita. Maestro e mago dello stile cantabile, racconta il mondo invisibile attraverso un suono maestosamente umano. Dopo aver lavorato per molti anni nell’ensemble di Ludovico Einaudi, nel 2021 Redi Hasa ha esordito da solista con “The Stolen Cello” (Decca Records), album ispirato alla sua storia di ragazzo, coinvolto nel conflitto albanese nei primi anni ’90, fuggito in Italia per cambiare vita con la cosa più preziosa che possedeva: un violoncello.
Fondatore della casa di produzione Teresia film, il regista Giuseppe Pezzulla è autore di numerosi spot e videoclip, ha firmato i documentari “Léune” (2014), dedicato alla “Focara” di Novoli e alla devozione per Sant’Antonio Abate, e “Santi caporali” (2016), che racconta la lotta quotidiana tra caporali e braccianti agricoli stranieri nell’estremo nord della Puglia, e il film “Pleiades” (2021), prodotto dall’Istituto “Giovanni Falcone” di Copertino con il sostegno del Miur e del Mibact nell’ambito del progetto Visioni fuori luogo – Cinema per la scuola.
Ingresso libero con contributo volontario
Info e prenotazioni: 3285317676 – 3403129308
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