I promettenti risultati verranno discussi domani pomeriggio all’Istituto Tumori di Bari
Lo scontro, iniziato già da qualche anno, sta portando i primi risultati incoraggianti grazie a due armi innovative scagliate contro i nemici: il Port intra-arterioso epatico e la Radioembolizzazione. Dopo la fase di sperimentazione, adesso è venuta l’ora delle prime vittorie di cui si parlerà giovedì pomeriggio a partire dalle 14.30 nell’aula convegni dell’Istituto tumori di Bari, nell’ambito dell’audit dal titolo “Nuove terapie intra-arteriose epatiche: Terapia Radiometabolica con Ittrio 90 e Chemioterapie Integrate”.
«L’innovatività delle terapie messe in campo dall’Istituto tumori rispetto al resto d’Italia e i brillanti risultati di cui già possiamo fregiarci rendono onore al lavoro di una equipe mutidisciplinare e multiprofessionale al servizio del paziente oncologico» spiega Agnese Maria Fioretti, referente qualità dell’unità di Cardiologia e responsabile scientifico della tavola rotonda del 12 gennaio.
L’aiuto fondamentale di cui si è avvalso l’”esercito” dell’Istituto Tumori di Bari consiste, da una parte, nell’applicazione del Port intra-arterioso epatico. «Si tratta dell’impianto interno all’organismo di un dispositivo intrarterioso stabile, dall’inguine fino al fegato: una tecnica utilizzata in Italia solo dall’IRCCS barese -aggiunge Cosmo Damiano Gadaleta direttore dell’unità di Oncologia Interventistica e Medica integrata- Attraverso un buchino della pelle di due millimetri si dà corso ad un intervento che può durare anche quattro ore navigando nei vasi sanguigni con l’ausilio della guida dei raggiX (angiografia). Quindi, giunti in prossimità del fegato chiudiamo con dei tappini, cioè piccoli emboli metallici, le arterie collaterali extraepatiche che originano dall’asse vascolare comune diretto al fegato e agli organi vicini, affinché non siano intaccati dal chemioterapico gli organi sani, venendosi così a creare un’unica strada percorribile dal farmaco che va direttamente ed esclusivamente dall’aorta al fegato. Questa metodologia di cura puramente chimica, consistente nell’iniezione del chemioterapico per mezzo di una pompa elettronica esterna collegata con un aghetto transcutaneo, a goccia lenta e prolungata nel tempo, permette di ottenere alte concentrazioni solo nel fegato, evitando gli effetti collaterali di tossicità generale che troppo spesso funestano il paziente».
Dall’altro lato, giovedì pomeriggio saranno presentati i risultati dell’impiego della metodologia fisica di radioembolizzazione: quando le metastasi epatiche, sia da cancro del colon-retto sia da cancro della mammella, a causa del loro numero e della loro grandezza non possono essere asportate o non si può intervenire con ablazione, la via d’uscita è rappresentata da elevate dosi di radiazioni direttamente all’interno dell’organo ammalato, riducendo al minimo il rischio di danni ai tessuti sani circostanti.
«In entrambe le metodologie l’approccio è rigorosamente multispecialistico perché mette insieme molte competenze: radiologo interventista, oncologo medico, fisico medico, cardiologo, anestesista, medico nucleare, tecnico radiologo specializzato e infermiere specializzato. Il fatto che l’istituto di Bari sia riuscito ad “accreditarsi” e a chiamare a raccolta più specialisti per la cura del cancro al fegato, non può che rappresentare un faro che illumina le speranze dei pazienti» conclude Cosmo Damiano Gadaleta.
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