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“Taranto non meritava di diventare Capitale della cultura 2022”, dichiara Pierfranco Bruni in un’intervista a Stefania Romito

TARANTO – Pierfranco Bruni, personaggio di spicco del panorama culturale internazionale, per più di 40 anni Direttore del Mibact. Ha ricoperto la carica di Assessore ai Beni Culturali e Vice Presidente della Provincia di Taranto. Candidato alla Presidenza della regione Puglia alle scorse regionali, ha impostato tutta la sua campagna elettorale sul valore della cultura. Ha accolto con entusiasmo questa notizia che accende un riflettore su una delle più belle isole italiane.

Come saprà, Procida è stata dichiarata Capitale della cultura del 2022. È la prima volta che questo riconoscimento va a un piccolo borgo. Procida infatti conta poco più di 10.000 abitanti. Da uomo di cultura, ma soprattutto da professionista e “cultore della cultura”, come giudica questa decisione?

Ritengo che sia un fatto altamente positivo poiché per la prima volta si vanno a inserire, all’interno di questi percorsi culturali, delle comunità che hanno da sempre come punto di riferimento il dato culturale.

Conosco molto bene Procida e sono certo che questo riconoscimento non è stato assegnato solo per il luogo in sé. Bisogna comprendere un dato importante. La questione che riguarda la Capitale della cultura non è un discorso che si lega solo al luogo in sé, altrimenti tutta l’Italia sarebbe Capitale della cultura, se facciamo un’analisi del territorio da un punto di vista geografico. Ma è un discorso che concerne i progetti che si sviluppano, la progettualità che si presenta e sul lavoro che si è svolto anche negli anni precedenti. Ecco perché credo che premiare Procida rappresenti un segno di grande importanza per tutto il Mediterraneo e, in modo particolare, per il Sud. Procida rappresenta l’unione di queste comunità culturali che hanno vissuto il dato progettuale culturale sul territorio e del territorio, aprendosi alle tematiche internazionali. Assegnare questo riconoscimento a una cittadina di circa 10.000 abitanti significa mobilitare tutto un circondario, perché Procida vuol dire Campania, Ischia, Capri, Sapri. Vuol dire tutto un territorio che ha intorno a sé una realtà profondamente radicata in quella cultura che unisce il Tirreno con lo Ionio.

A parer suo, quali possono essere stati i punti di forza di Procida che hanno influito su questa decisione?

Secondo me, sono stati presentati dei progetti fortemente innovativi che partono dal territorio ma che guardano anche oltre. Non ci si può soffermare su ciò che una cittadina è, come il caso di Taranto sulla quale si puntava molto. Queste cittadine sono eredi di una storia, di una realtà culturale storica, ma se nel corso degli anni non hanno fatto e prodotto cultura, presentando dei progetti innovativi (e non progetti che si limitano a rivedere ciò che è stato realizzato), è difficile poter risultare interessanti.

Mi sono trovato a lavorare all’interno di varie commissioni e abbiamo sempre cercato di guardare in prospettiva. Si è sempre confuso il rapporto tra programmazione e progettualità. La programmazione è un fattore contingente, perché si fa ogni anno e si può fare in tempo brevi. Attribuire questo riconoscimento a una città significa anche saper guardare in tempi lunghissimi. Certo c’è una differenza, passare da Palermo, Venezia, Firenze a Procida. Questo riconoscimento rappresenta un aiuto, un segno di vicinanza a quelle comunità che sono fuori dagli eventi internazionali ma che possono creare eventi internazionali stando all’interno del territorio.

Il caso di Matera, seppur con una storia diversa, è emblematico. Matera nasce dal nulla, eppure è riuscita a costruire sui beni culturali una progettualità che è andata oltre guardando con molta attenzione ai beni culturali storici e antropologici che sono all’interno del territorio. Questo è il dato di fondo. Non creare una memoria sulla memoria, ma fare della memoria una progettualità in prospettiva. E Procida ha cercato di fare proprio questo. La Commissione di esame guarda con molta attenzione a questi aspetti.

Ritornando a Taranto, se rimane ciò che è stata, è chiaro che non può rientrare in un percorso innovativo. E i progetti parlano con molta chiarezza.

Procida è un’isola. Da un punto di vista metaforico letterario in quanto isola rimanda al tema del viaggio, all’ulissismo, al mito depositario di valori umani che diventano dei veri e propri archetipi esistenziali. Crede che anche questo aspetto possa aver costituito un fattore di referenzialità che abbia contribuito a questo esito?

È giusto quello che afferma, perché parlare dell’isola significa rimandare a una problematica esistenziale, oltre che culturale, che è il tema del viaggio. Un tema che (e questo vale per l’intera Italia non solo per Procida), è legato all’incrocio tra Occidente e Oriente e al Mediterraneo in modo particolare. Non dimentichiamo che bene aveva visto Elsa Morante nel suo romanzo “L’isola di Arturo”, tutto costruito a Procida. Un romanzo straordinario. Io avrei premiato Procida soltanto rileggendo questo romanzo di Elsa Morante.

E poi c’è un’altra personalità che, a mio avviso, ha influito moltissimo: Alphonse de Lamartine che, con Graziella, ha scritto un romanzo-viaggio parlando delle bellezze di Procida e del rapporto tra terra e mare.

Un tema che, nel corso degli anni, abbiamo affrontato in diversi percorsi progettuali. Oggi si parla di terra e di mare. Di viaggio. La cultura è viaggiare. È cercare di viaggiare attraverso quei miti e quegli archetipi che diventano, appunto, proiezione verso il futuro. Non possiamo illuderci su altro. La cultura è prospettiva e progettualità. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Se manca un progetto omogeneo, pur nell’articolazione, è difficile poter pensare a una città in fase di espansione.

Voglio spendere una parola in più su Taranto. In questi giorni c’è stata una polemica sulla questione del ritrovamento di alcune lettere di Salvatore Quasimodo, date per eccezionali, originali. Nulla di tutto questo. Si è creato un vero e proprio “pandemonio” per mancanza di accortezza culturale e scientificità culturale. Questo danneggia una città, come in effetti l’ha danneggiata. E poi pensare in Puglia di legare Taranto come Capitale della cultura alla Grecìa salentina significa non conoscere la cultura del territorio. Questo è il dato concreto. Procida è diverso. Ha un suo fulcro centrale che è quello dell’isolarità, nel senso “di isola”, che racchiude e che rimanda a una storia antica. Le confusioni non pagano nella cultura così come non pagano nella vita. Ecco perché io sono contento che Procida sia stata scelta come punto di riferimento culturale nel 2022.

Tra le altre località candidate c’era anche Taranto. Lei è calabrese di origine, ma tarantino di adozione. Ritiene che Taranto avrebbe meritato di più questa candidatura?

Assolutamente no, perché Taranto non merita di essere Capitale della cultura. Come dicevo, manca di progettualità. Nel corso degli anni non ha sviluppato una progettualità. Abbiamo avuto amministrazioni che non hanno guardato alla cultura. Abbiamo ancora una amministrazione che continua a non guardare alla cultura e la confusione sulla “questione Quasimodo” la dice lunga.

Taranto aveva avuto una grande possibilità di rilancio, due anni fa con la Concattedrale di Gio Ponti.

Mentre Gio Ponti era considerato all’estero un punto di riferimento internazionale (era stato dedicato alla Concattedrale di Taranto un bellissimo articolo pubblicato sulla prima pagina del mensile Alitalia), Taranto se n’è strafregata. Non ha saputo cogliere l’occasione per creare una possibilità di internazionalizzazione attraverso le celebrazioni di Gio Ponti.

A Taranto non interessa parlare di cultura. Interessa parlare di “provincialismo della cultura”. Ed è il danno peggiore che si possa fare a una città che, dopo la questione Italsider, non ha nulla dal punto di vista dello sviluppo e avrebbe dovuto puntare molto sulla cultura in modo serio, scientifico, forte, con un progetto ampio e non che porta nel proprio bagaglio la Grecìa salentina. C’è stato questo inadeguato abbinamento. La Grecìa salentina (io che mi occupo di minoranze linguistiche da 30 anni lo so bene) ha una storia particolare, una storia a sé. Taranto è Magna Grecia, non è Grecìa salentina, non è “tarantolata”. Bisogna conoscere la storia dei territori. Non si può mettere insieme una antropologia che è quella della Grecìa salentina con quella della Magna Grecia. Qui si tratta di beni immateriali. Ancora peggio, di beni materiali in sé che sono spalmati sul territorio. Questi sono fatti che un esperto riesce a valutare con molta attenzione. Taranto, pur avendo una ricchezza di beni immateriali, non ha fatto nulla e non fa ancora nulla per sviluppare una progettualità sui beni immateriali. Questi sono elementi che con il tempo danneggiano, sul piano della visibilità, il tutto. Se non fosse per il Museo Archeologico MarTa, guidato da una direttrice capace, Taranto sarebbe del tutto tagliata fuori dagli eventi internazionali. Prima dell’arrivo di questa direttrice, Taranto non esisteva culturalmente, tranne che negli anni ’95 – ’99 quando era diventata il punto di riferimento della cultura internazionale. Dopo quel periodo, Taranto è entrata nel buio. Quando si creano queste confusioni, come la questione sui manoscritti di Quasimodo e l’abbinamento con la Grecìa salentina, significa che è totalmente assente uno studio particolareggiato sul territorio. Si ignora del tutto la cultura del territorio. Questo è il grave danno di una città“.

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